Le icone (dal greco éikon il cui significato è “immagine”) non sono dei semplici quadri né solo oggetti d’arte: ma dipinti sacri in cui vengono rappresentati i misteri di Dio.
Per comprendere meglio l’importanza delle icone è necessario risalire agli inizi della storia dell’umanità.
Già nella preistoria l’uomo si serviva dell’immagine per stabilire un contatto con la divinità, e nelle più antiche civiltà si ricorreva all’arte come mezzo allusivo del divino: si pensi all’uso del segno simbolico della pittura sacra degli Egiziani nei papiri, nelle steli, nelle tombe, per raccontare l’incontro con gli dei. Ricordiamo anche la necropoli di Cerveteri e la bellezza delle tombe etrusche. Presso i Romani poi, nelle province lontane da Roma, per amministrare la giustizia nei tribunali, doveva essere sempre esposta un’immagine dell’imperatore, il Divus, affinché il magistrato in carica potesse agire in suo nome. Quella imago efficiens garantiva la sacralità di ogni giudizio e di ogni deliberazione, come se fosse stata presa dall’imperatore stesso, presente a giudicare. Così l’immagine assicurava come reale la presenza di chi essa raffigurava.
Questa riconosciuta coincidenza dell’immagine con la presenza della persona raffigurata passa ai Cristiani fin dai primi secoli. Così nelle Catacombe vediamo riferire a Gesù l’immagine simbolica del Buon Pastore, che nell’antichità classica rappresentava la filantropia; la metafora dell’orante, che nel passato aveva rimandato all’ideale della pietas, la virtù dell’uomo devoto agli dei, è riempita di un nuovo senso raffigurando così l’anima che si affida a Dio.
Dal V secolo, essendo la religione cristiana divenuta ufficiale, l’aristocrazia, seguendo il sovrano stesso, diede grande impulso all’arte, finanziando la costruzione di basiliche, di battisteri, di mausolei e di complessi monastici e anche l’esecuzione presso botteghe di validi pittori di splendide immagini di Cristo, della Madre di Dio, dei Santi, dei Martiri, dei Profeti. Sarà poi il II Concilio di Nicea del 787 a definire per sempre la natura e il valore delle icone, affermando che a fondamento di esse sta l’Incarnazione stessa del Figlio di Dio, cioè la natura umana e divina di Cristo.
L’icona è dunque tramite tangibile tra l’uomo e Dio, anzi è sede del divino stesso, che per mezzo dell’immagine, appare all’uomo. L’icona è di per sé miraculum, teofania, apparizione, epifania. “Chiunque venera un’immagine, venera in essa la realtà che vi è rappresentata…” così afferma il documento conciliare nell’843. Nello stesso documento si raccomanda inoltre di collocare immagini sacre, di qualunque materiale e tecnica, ovunque vivano dei fedeli, affinché contemplando e venerando le icone essi siano attratti dagli eroi della fede e seguano il loro esempio di vita. Infatti, la venerazione non è rivolta al legno dipinto o al mosaico, ma tende attraverso di essi al modello rappresentato, che vive in una realtà diversa da quella umana, cioè la realtà di Dio. La venerazione è dunque possibile poiché viene data dalla Chiesa in forza del rito della benedizione dell’icona. La tradizione della Chiesa, custode attenta dell’eredità apostolica, definisce e tramanda i canoni da cui l’iconografo non può allontanarsi, senza rischiare di cadere in gravi errori, poiché non è la sua personale verità che deve emergere, ma la Verità di Dio.
Breve bibliografia
- GIOVANNI DAMASCENO, Difesa delle Immagini Sacre. Discorso apologetico coloro che calunniano le sante immagini, Traduzione, introduzione e note a cura di V. FAZZO, Ed. Città Nuova, Roma 1983.
- EVDOKIMOV P. N., La teologia della bellezza. L’arte dell’icona, ed. Paoline, Roma 1982.
- BUSI G., Il segno di Giona, teoria, interpretazione e pratica dell’icona, Dehoniana Libri, Bologna 2011.
- BUSI G. – RAFFA G., Luce de tuo volto. Percorsi avanzati fra teoria e pratica, Dehoniana Libri, Bologna 2014